Medium

L’integrità dei termini medi è presente all’evento. L’organizzazione ha il suo bel daffare nel tenerli in riga, non perché essi siano ben disposti al disordine, nient’affatto, si allungano per differire la conclusione. Per inciso, l’organizzazione contribuisce con l’assunzione di una serie omogenea di buttafuori, nel tenere alla larga, nel prendere nello slargo, nel proporzionare in distanza, gli infiltrati, i termini irrimediabili. Una volta che i termini medi accreditati sono distribuiti e i termini irrimediabili allontanati nei bordi dell’incredulità, l’evento si smuove. Dall’esterno abbordato un oggetto è alleviato, sorvola la distribuzione in analogia all’inferenza dei nimbi e si afferma in un bel rapporto. Dall’interno mai debordato un medium si manifesta in risposta alla consonanza prodotta dalla prensione dei termini medi accreditati. Ora, nel coinvolgimento che precipita l’evento nella subitaneità della conclusione, l’organizzazione si affretta a richiamare in prossimità i buttafuori, la prensione ha prodotto un subbuglio dei termini medi accreditati, essi sono indiscernibili, stipano le premesse l’una sull’altra, l’una sotto l’altra, incomparabili, si deformano per entrare in contatto con il medium ed ottenere la rispettiva esclusiva. I buttafuori non riescono ad arginare la spinta mediata, non danno credito alla mediazione indiscernibile. L’organizzazione ammette il disappunto, il medium si è dimostrato un impostore, un gabbamondo, ha rifilato l’oggetto per l’evento, ha falsato l’oggetto e frainteso l’evento.

Diascopia

All’esterno della rimostranza, Fantasia si concede una pausa, la monotonia tra un numero e la deduzione della cifra è divenuta per lei detestabile, in ispecie nel periodo principale. Appoggiata al traslato, umetta una figura con l’apice della lingua. Sfacciata, Fantasia illustra, con la coda dell’occhio, un aspetto indubbiamente mostruoso, l’epifania di un’insistenza. Difatti, Fantasia non è contorta, una desinenza le rivolge la parola. Ad onta del riserbo e del rivolgimento, la desinenza non desiste, in altre parole seduce Fantasia con l’elogio del fantastico. Tuttavia Fantasia non si discosta, intima alla desinenza di non dilungarsi, di affermarsi nella propria imposizione altrimenti non potrà che stampare l’onomatopea di una prensione rovesciata. Incontenibile, la desinenza dapprima biasima le maniere fantasiose dappoiché esclama il climax del rapporto. Fantasia è irritata dall’allegoria, di contrappunto la desinenza insiste nel delineare l’immagine della sua attenzione come una predilezione, prefigura lo sfolgorio continuo della fantasmagoria. La pausa svuota la riduzione, Fantasia si appresta a ritornare alla detestabile deduzione del cifrario non senza salutare la desinenza con una metonimia. Di Fantasia è possibile dire tutto e il contrario di niente, essa non differisce l’educazione, nel caso in analisi si adegua, si conforma all’assenso allegorico e altera la desinenza, quest’ultima l’ha scambiata per l’immaginazione, l’ha presa per un’altra.

Sindrome alogica

Nelle sottigliezze della esalogia si biforca, in punta di lingua, un acceso diverbio. Entrambe le portavoce si esimono dalla frammentazione eraclitea, non spifferano né ravvivano il logos stoico. Tautologia rimprovera, con enfasi, l’autonomia di pensare unicamente in virtù di un’immedesimazione. Autonomia, rivoltata, sollecita la tautologia alla compitezza enunciativa, dice sempre le stesse cose. Tautologia ribadisce che quantomeno non scivola né inciampa in contraddizioni, segue la direzione del diallelo e non consente che le integrazioni del pensiero siano influenzate da predizioni. Autonomia comprende come la china del diverbio sia dipendente, s’impegna a non alterarsi, il che non richiede la pubblicazione di una legge, e attende che l’internamento tautologico abbia una propria determinazione. L’inespressività autonoma conferma come Tautologia non dismetta la verità, pertanto riprende il rimprovero: “Autonomia pensa solo a se stessa”. Sconsolata, Autonomia legge la citazione tautologica che, ovviamente, ha segnato in una diramazione del suddetto.

Volontà

L’applicazione del derivare riduce drasticamente le possibilità di smarrimento. Designati i dati, l’applicazione sintetizza sia l’itinerario che la durata, la destinazione non è impraticabile. Dissezionata, l’azione non svia nell’ubiquità e il destino è tutt’altro che irreparabile. In asintoto, lo smarrimento s’inserisce nella volontà, e viceversa. Dal punto emendato, la retta in itinere della filosofia, il suddetto determina un assurdo, dopodiché una bizzarria. La filosofia è conosciuta dai punti dell’itinerario e dalle interpunzioni della durata per la sua magnanimità, in effetti sono diffusi innumerevoli esempi di come essa sia sopraggiunta, sia andata incontro, abbia giustificato con sufficienza le stranezze del sapere, senza sminuirne il segno, anzi con il senno di poi ha sempre ottenuto la sua riconoscenza per non averne evitato l’errare. Tuttavia la fantasofia, la sapienza mostrata e non esposta alle dimostrazioni, all’intensità delle opposizioni altrimenti dette manifestazioni, asserisce che occorre un atto volontario, una variazione della volontà per lo smarrimento. Neutrale tanto alla corda delle cause quanto all’intreccio degli effetti, in quanto non maneggevoli, lo smarrimento occorso per una variazione della volontà ne dispiega la deriva, ovvero allo smarrimento è impedito il ritorno alla derivazione, senza alcun contrario articola la deriva della volontà.

Falansterio

Alle prime luci dell’alba, limitrofa all’ambiente assegnatole, M. smarrisce un oggetto. Nell’andirivieni, A. anche se non prestabilito, è solito rimirare l’alba dal nuovo segno. Percepisce la caducità oggettiva e un corpo che varca un’istanza. Nel dipoi, M. raccoglie un foglio nell’adiacenza dell’uscio.

Il plagio della scrittura. Alla viandante delle prime luci, sono spiacente di interrompere o disdire le ricerche dell’oggetto smarrito, quantunque non sia preoccupato dall’assenza dell’oggetto nel luogo in cui conclude la ricerca, la informo che uno sconosciuto ha rintracciato o raccolto l’oggetto smarrito, è indubbio che un’affinità leghi lo smarrimento e lo sconosciuto, pertanto la invito, sempreché non sia di suo garbo localizzare nello smarrimento l’obiettività ricercata, a segnalare la sua presenza all’interno numero …, l’interno custode dell’oggetto non espropriato.

Con riconoscenza, lo sconosciuto A.

In futuro

Frammenti di una figura dalle molteplici implicazioni sono sparsi in superficie. Ad una ricostruzione per adiacenza di relazioni, i frammenti per contatto sono inventariati in un insieme elementare assimilabile ad un ventaglio, la figura dei futuri contingenti. Ad un’analisi, il perno o rappresentazione non ha retto l’espansione della comprensione. In una connessione della comprensione e della chiarezza, richiudendosi il prendiluce è frammentato o in elementi. Ad una prima piega, là dove il primato non rappresenta una successione bensì un comodo assetto del resoconto, il principio di contraddizione revoca all’essere la modalità del rinnegare, nelle tenebre dell’essere, caratterizzate da un’autonomia, da un’autorità nel nominare, è esiliato dagli stravolgimenti. Subito, per una composizione in sesto, l’essere è investito da un ordine di ritorno in cui la negazione è individuata quale un accidente. Ad una seconda piega dei futuri contingenti raffigurabili, sempre l’essere è inclinato dalle categorie dei tropi, mai al proprio posto, considerato ai margini, e non oltre, del discorso, al pari di un nomade non parla contro i propri detrattori, non articola la dizione dal tratto improprio. Ad una terza piega del futuro contingente, dell’essere si sono perse le tracce, dell’ontologia, il formato cartaceo che contrassegnava la dimora del principio di contraddizione, non sussiste più memoria, è una disciplina nebulizzata dalla detonazione muta, dall’esplosione h. In un futuro contingente l’articolazione in futuro è insensata, due volte la determinazione si assenta e nel prefisso e nei contorni di una parola, o ciò che si assimila per contesto e continuità ad una parola, inoccupata.

Connubio

Alle nozze di Ermete e di Filologia, Eros si diletta con il tirassegno. I presenti sono distratti. Le tre Grazie interrompono il volteggio inarcato e tangibile, si rivoltano l’un l’altra, la talaltra nel verso del segno, l’una nella torsione dell’aspide immutabile, l’altra ritira il proprio accordo. Al Genio non sconfinfera lo sdoppiamento irrigidito del sibilo, indi sottrae una consonanza per accostarla alla contrazione dell’inferenza e del confine. La Retorica sfigura la crasi, intanto è incerta circa la provenienza dell’ultima parola nonché la successione della parola accapo, pertanto, con discrezione disadorna, provoca la Poesia dalla strofe distratta. La Poesia, oltremodo non in pena per la determinazione dell’ultimo, disconosce la fonesi della Retorica, nel disavanzo dell’oralità ignora il segno del parlare.

Ermete dà il verso a Filologia, in tutto e per tutto in tiro, nel segno erotico recide il tirassegno, lacera l’assegno in bianco tirato dai presenti.

12:21

Noemi, una pluralità, è impigliata in una separazione. Da un lato dispiega i limiti di una relazione, le svolte, le deviazioni, le trattenute sinistre, dall’altro lato ripiega le ritrattazioni dell’indivisibilità, gli ennesimi coinvolgimenti, le imprese di una virata maldestra. Nella ricorrenza dell’individuazione del nome proprio, Noemi è considerata a manca umorale ma non atrabiliare, a dritta volubile ma non perversa. Tanto da un lato quanto dal relato le addizioni sono indefinibili. Oramai esausta, Noemi, una pluralità, riposa le espressioni su uno strumento fenomenico. Nel nunc mai in orario, avverte uno stato mai così estraneo alla condizione e alla supposizione, in cui la riflessione è sospesa. Nel nunc, lo stato della sospensione non specula sulla fermezza della proposizione, anzi muta di significato, raddrizza da un lato i limiti di una relazione, distende dall’altro lato le ritrattazioni dell’indivisibilità ripiegate in asse.

Noemi, una pluralità, appare minuta come la riflessione sospesa e la speculazione non proposta, in poche battute mai sminuire il decorso dei noemi, mai ridurre l’affezione inseparabile ad un diminutivo, Noemi.

Noemi, un diminutivo, comprende l’angolazione nelle semirette, il numero e la linea, né il numero in linea né la linee numerabile. Ora, 13:31, la riflessione è inseparabile a manca, la speculazione è indivisibile dalla direzione.

Verbigrazia

L’ordinario ferma con il rovescio il battente, ingombra la contingenza ondivaga sui cardini. Il quotidiano s’introduce nell’uscio e varca l’ingresso, segue la routine, orfana di madrelingua. Con lo svago della rettitudine l’ordinario esenta l’incardinare, per converso avverte l’avvenenza della singolarità, il pregio privo di valutazione, un grazie. Di nuovo, ostacola il vagheggiare dei cardini, con il verso squadra il tacito quotidiano e la routine limitrofa. Replica all’avvenenza della singolarità, del grazie quotidiano,  con un immaginarsi la pluralità delle volte denudate delle abitudini. L’ordinario replica al singolo grazie del quotidiano con un figurarsi l’armonia in senso lato, un gradazione non riposta nel terzo incluso né nel relativo rinnegato. Il contorno dei cardini ribalta il battente, l’ordinario divaga sulla via della consuetudine, ovvia la banalità. La routine, orfana di madrelingua, risente dello svanire in immagine dell’intimità o della consonanza figurata, ad ogni modo grata all’ordinario che non abbia replicato con la logica dell’inclusione, il grazie a lei, o con il rinnegamento della rappresentazione relativa, il non c’è di che.

Antologia

Il piano di enunciazione è sfiorito. Cos’è, se non un ulteriore costrutto per rinverdire i corollari. Recisamente no. Negli ordinari periodi che non si dilungano in volteggi delle subordinate, è frequente smuovere le osservazioni, una calca di enunciati satura l’esercizio del fioraio. Le astruse richieste si susseguono, il fioraio le ottempera senza obiettare, senza eccepire la selezione, è solito che apponga il punto al periodo con la lingua da fuori. Chi o cosa connette la sintassi del fioraio? Gli enunciati coloriti. Quali articolazioni del senso? Una ricorrenza della struttura. Un esempio che garba ai più, l’enunciato strutto che ha dispiegato le prescrizioni sintattiche per un’affezione appassita dell’enunciazione, sistema il senso reciso della comprensione, il distrutto, con una fragranza significativa, altrimenti composta. Per un succedaneo contrappasso gli enunciati coloriti, laddove il colore consta in un’interposizione, in un frammezzo – naturale, espressioni di riferimento di una sentenza vendicativa, sono detenuti in un contesto di massima, aspirano gli effluvi dell’antologia inaridita, il deserto dei fiori appassiti, un florilegio – naturale!

La richiesta di grazia sottoscritta dagli enunciati coloriti, avvizziti e contorti, è respinta dall’intermezzo sbocciato – un artifizio.