Lattemiele

I vezzi sono appena tornati dal diversivo impelagato. L’avvezzo si fionda verso il bagno, solleva il miscelatore color rubino della doccia. L’acqua defluisce. Angola la porta intorno ai cardini. Il vezz abbraccia la vocale della vezzeggiativa. È sorpreso dalla sua mestizia, non gli chiede se abbia imparato a nuotare nel latte. Con l’ausilio della biancheria la vezzeggiativa gli pulisce l’angolo della bocca, reca ancora tracce di latte.

 

La cervogia

A tutta birra si misero al volante, l’uno si aggrappava allo sterzo, il secondo ne diceva quattro frecciatine. Pur dandosi il cambio il trasporto non marciava. Il tentennamento arrivava alla cintura. Il quadro declinava la delazione e come da manuale la chiave dell’incidenza si espandeva a reputabile macula di minzione.

Il nichelino

Il lavavetri appoggia la spatola imbevuta di un singhiozzo che dà del sapone al parabrezza. Automedonte cinghia il pantalone con fare sostenuto. Oscilla il cenno cristallino, l’attinenza a distanza. Assevera alla spicciolata lo scialo dei pidocchi, questi non attendono che al trasferimento dalla testardaggine alla caparbietà e lui non può condurre con il pensiero a ruota libera di aver reso la pariglia del versipelle grattacapo.

Furto con destrezza

Il tiro mancino è senza cuore. Fino a un battito prima il polso era competenza della percezione. A tutt’ora si ritrova con un pugno di formicolii. Nonostante lo zelo della tromba di Eustachio non ha mai sviato l’udito dal batticuore. Eppure gliel’ha fatta sotto il naso. La querela accorata si tiene alla larga dalle sporgenze. La tangibilità non è rincuorabile.

L’orco in bocca al lupo

Ogni luogo è una biblioteca per la raucedine, così dissipa più di una parola la fiocaggine.

Ogni luogo è un cimitero per la fiocaggine, così pizzica le corde con il plettro della parola la raucedine.

Per scongiurare la tema che la biblioteca venga ristrutturata con la corruzione la raucedine vede il lupo.

Il cambiamonete offre per un’eurodivisa due lire. Risentito con la fiocaggine, il suo esercizio non è una cappella. Accetta, una lira pur di non revisionare l’orco.

Uno schietto di salacità

I salami tengono banco. Affettano la socievolezza per poi accattivarsi la ripicca. L’asciuttezza dello stile è proclive al risalto, la mordacità fa ricredere finanche il reflusso sema-esoterico. Il formaggio è in imbarazzo per le rimostranze in bell’aspetto, per l’eidos taciturno sulla scorta dello schema. La porca si è licenziata per le importune tangibilità della morale.

Casaccio

Il reperimento della pedanteria in avanzato stato di decomposizione nel contenitore indifferenziato s’imprime nella stampa che non abbozzerà comprensione per le lungaggini degli accertamenti.

Infilate le presine, il sovrintendente Dell’omeoteleuto solleva la pentola con le patate bollenti, la quarta metamorfosi di Philip Glass soffia nell’inaudito. Lo schermo del telefono allinea la voce non ancora viva della questione.

Il verme solitario

Va in giro nudo per l’intestino in affitto, le finestre non osservano la tendenza alla privazione. I vicini comunicano al gerente l’abiezione, questi informa la metameria che nulla può se non sentirsi di casa e trasferirne la questione. La tenia è protetta dalla divinità, ha vinto l’agonia del contratto risolto.

Le carte false

Davvero, il segno è disposto a delineare qualsiasi inciso per l’immagine. Gli incartati intonano il sussiego, sono solo scarabocchi privi di fantasia. Fermi alla cancelleria osservano l’immagine che lascia il segno. Avanzati dalla cancelleria osservano il segno che tiene testa, tronca l’attinenza con lo scavezzacollo e la porge all’immagine alla ghigliottina.