Nulla iocus sine linea

Delineare il Napoli: la linea laterale, del campo di gioco, estrema alla panchina non è la frontiera per l’agone, dunque non stiate, voi calciatori, tutti lì a richiedere il lasciapassare, la corrente dell’agonismo scorre al limite dell’area di rigore e allinea la linea d’area alla linea di porta, asintotiche e non (rete fantasma). La linea di centrocampo è perpendicolare alla panchina, non è incurvata, dunque la lunetta dell’area di rigore non è il centrocampo, mantenere le posizioni non significa retrocedere verso la linea curva, in fase difensiva, e non oltrepassare la linea d’area avversa, nella fase offensiva. La superstizione tecnica afferma, nell’intervista, che la nuova linea sarà tracciata dalla metà di marzo. Il novilunio non è un nuovo orizzonte.

Capitale

Il titolo aggettivale amputa l’articolo. Il semadromo fantasma incorre nel sostantivo che va da sé. La sostanza sottende la funzione sostantivata dell’aggettivo nella determinazione dell’autonomia e nell’indeterminazione dell’eteronimia. Sovraintende, inoltre, alla funzione aggettivata del sostantivo nell’articolo sottinteso che determina l’omonimia del genere e l’equivalenza del numero. Il sostantivo che va da sé riabilita il vademecum del semadromo, dal sé al me nel segno personale. Il titolo aggettivale nel semadromo diagnostica per sé il me stesso. La gnosi del me stesso per il dia del sé, nella mole dello stesso, rimuove il personale per la commozione dell’aggettivo privo di articolo, capitale. Senza capo né coda il titolo non è in pena per l’esecuzione del personale, non impetra la grazia del titolare. Non si morde la coda, a capo chino per il vizio e con la coda dell’inchino tra le virtù. Insensibile alla protesi della sostanza, il titolo aggettivale è un titolo.

Supervacaneo

La dimora dell’accasato è ambientata in tre vani più accessori. L’agenzia immobiliare, il che non è un ossimoro, ha profferto il pleonasmo della pratica nelle visite guidate che hanno anticipato la locazione tra una teoria di appartamenti e tra l’intero catalogo nel portaoggetti. L’agente ha traslocato la visione di un effetto in una visibilità della causa, una divisione della concausa in una distribuzione degli ambienti, l’architettura pantopica in un determinismo fuori luogo. Il mobile come divisorio è da ristrutturare in una disposizione della certezza residenziale. Gli accessori inoltrano i vani negli elementi della struttura inerenti alla ridefinizione della nozione di cortesia. La liberalità dell’igiene, l’acqua che ricorre nella detersione delle estremità corporee quali le mani appiccicose, i piedi insudiciati e il viso ingrassato, nonché i medi estremizzati, gli organi genitali inumiditi dall’urina o dai liquidi seminali tra cui le secrezioni vaginali, e l’ano imbrattato dalla defecazione. L’ottimale riposizione degli oggetti nella piccola stanza spigolosa, tutta angoli, a mo’ di guardaroba, dove la custodia è salvaguardata dalla sopraelevazione degli ultimi, ovvero gli oggetti sono in scala uno a uno. La squisitezza della cucina, è assicurato il ristoro del rincasato e la comodità della preparazione, gli ingredienti non sono da ricercare, sono ordinati in uno schema domestico, convenzionale o no, supera la sperimentazione. Perfino il casalingo è privo di refusi, incorreggibile. L’ospitalità è in uno stato di prontezza così come i piatti che imbandiscono, nell’ordinale, la tavola. Bisogna sì soprassedere su quattro piedi e con i gomiti pendenti, la cortesia dell’ospite dipende dalla liberalità del padrone di casa, i servizi accessori non intraprendono un’evasione su licenza degli astanti. I vani sono a misura degli occupanti. Chi desidera un ambiente consono allo spazio di sussistenza si stanzia nel vano sottovuoto. Chi desidera un ambiente consono allo spazio di resipiscenza si stanzia nel vano a precipizio, il cremnofobico. Chi desidera un ambiente consono allo spazio emarginato si stanzia nel vano svanito. Chi desidera un ambiente consono allo spazio di coppia si stanzia nel vano semivuoto. Chi desidera un ambiente consono allo spazio teatrale si stanzia nel vano kòilon. Chi desidera un ambiente consono allo spazio di parola si stanzia nel vano anfanato. Chi desidera un ambiente consono allo spazio semantico si stanzia nel vano invano. Chi desidera un ambiente consono allo spazio teologico si stanzia nel vano anateistico. I tre vani preoccupano l’accasato, per la sicurezza di casa dovrebbe asserire un domestico. È apodittico che il monolocale si confaccia all’uomo di casa, alla donna addomesticata e alla coppia, nei fatti, adulterata. L’infanzia della convivenza è la pedagogia del diritto di famiglia. Il bilocale è genitivo, l’epesegesi è legittima e il concepimento omotopo. L’agente, un praticone delle commissioni in situ nonché un massimalista del falansterio, fa presente che il locale, che sia mono o bis, non ingombra i vani, l’adduzione dell’ingombro non empie il vuoto. L’ingombro empirico induce un calcolo della riduzione. L’idea di ingombro deduce l’operazione di conduzione e vanifica il teorema contenuto, la conduzione del volume d’ingombro allo spazio contenuto termina nella vanescenza. In itinere il trasloco dal monolocale, dal bilocale ai tre vani abitabili non contiene lo spazio in luogo del disavanzo dei vani, il vano è tutto intero a disposizione dell’accasato. Disporre dell’intero, disporre del tutto, nel vano, non è la massima di un antico atomista, né il minimo comune unico di un eleate. A onta del vaniloquio l’ultravuoto non è soppalcabile, quantunque lo spazio residuo sia inferiore alla pressione dello spazio contenuto.

Scomposizione

Il mezzo di trasporto, il mezzo pubblico nel sottosuolo della città convoca la composizione dei morti viventi. I macchinatori, nel novero dei posti in piedi, non parlano d’altro che dei morti viventi, il tale è squilibrato, il quale è traumatizzato, il tal quale è neurolettico. Dove stiamo andando? La mappa della linea interseca le stazioni, il colore è una composizione che ritrae il macchinatore dalla macchina percorsa, scenderò per poi salire, previo concorso delle macchine, non si sa mai che siano in orario, accidenti quando eravamo in vita, non c’è che dire, il trasporto su ferro era in orario. I macchinosi, nel campione dei posti a sedere, si turano il naso, la puzza squamosa non ricambia la muta dei macchinatori, i finestrini sono bloccati, l’acqua è un servizio privato e, nel pubblico, non deterge, l’aria manca così come la condizione del desiderio. I telefoni intelligenti coprono il vociare con l’auricolare che non ritrova la via di mezzo del padiglione, il cavo fuoriesce dal labirinto dell’orecchio e la cuffia tappa la cavità del sentire. Le narici espirano la composizione priva di acqua e il profilo di certo non è greco, un sollievo. I macchinosi sono scomposti, accavallano le gambe e riducono il numero degli in piedi, i macchinatori sono disfatti, si reggono ai sostegni, chiacchierano del più che morto del meno che vivo, lasciano ricadere sui soprasseduti le gocce di saliva, la forfora, i peli, i capelli, il sebo in eccesso, per la computazione dei numeri.

Nella composizione dei morti viventi, i macchinatori deposti, disfatti, e i macchinosi esposti, scomposti, entrambi fuori di dubbio decomposti, non spogliano la scomposizione in fattori.

Fantasmagoria

Succede che l’accadere sia inficiato dal decadimento. La successione del cadere interrompe il penultimo decadimento e l’ultimo accadimento è successo.

Succede che l’accadimento sia eventuale. L’evento non accade, l’evento è tal quale l’avvento, irriconoscibile. Succede che la comprensione dell’evento accada come l’eventualità che succeda.

Succede che, nell’eventualità che succeda, l’accadimento sia deficitario del successo. Accade che il succedere eventuale sia inficiato dall’accaduto.

L’evento sventa tanto il succedere eventuale quanto l’eventualità dell’accadere. La concessione che l’accadere, l’accaduto rilascia al succedere, al successo, o per converso, è un’ostensione quiescente nell’eventualità che l’evento non accada, non succeda.