Apocrifo

Non esonerati bensì sorvegliati nel complesso del reintegro innovato gli anonimi sono aduggiati dai continui contrassegni, l’eventuale desultorietà della deriva segnica comporterebbe l’isolamento del soprannome tangibile di supplizio. Per alterare la seccatura delle ombre gli anonimi hanno escogitato un toccasana, il gioco occulto. Nel caso in cui ci fosse un superstite all’isolamento si potrebbe affermare che nel gioco occulto l’adespoto si distingue per ricercatezza e dell’icona e della figura invece tra gli anonimi non è in vigore alcun soprannome. Il gioco occulto è definito da un precetto: tornare sui passi non mai nominati ogniqualvolta s’incontra un anonimo, precetto a cui corrisponde una clausola, il ritorno ultimo dell’anonimato e dunque l’esonero nel caso finora sempre eluso dell’integrazione che si fa incontro con la denominazione, là dove il prefisso è privativo.

Modellismo

La riproduzione del manifesto è sul punto di ciondolare per gli ambienti privi delle necessarie specifiche ma non per questo contingenti. Per non inquietare le modalità della verità con un ennesimo movimento e attivare, innescare la prevenzione dei saggi e la cauzione della critica, il manifesto assegna la procura alla nota, in breve la nota è introdotta nel manifesto, sostiene il fardello dello schema. La dottrina della riduzione contestualizzata come pendolare adusa al trasporto, suscita il concetto dell’alibi, avanti l’impiego non è inopportuno sgombrare il piano dalle oscillazioni dei particolari quanto dalle soste, dalla discontinuità del mezzo; sebbene abbia compilato la domanda di trasferimento non trascurando le singolarità delle voci, alla riduzione non compete il luogo dell’attività e dato che l’impiego è in atto, sussiste il recare ad effetto, causa maggiore di un riconoscimento, di una proliferazione dei proseliti, dei sopravvenuti. L’originalità dei venuti ancora al vaglio della preposizione, di cui sopra, riferentesi alla derivazione e al ritorno della dottrina della riduzione languisce nella nota introdotta nel manifesto: “La dottrina della riduzione è in scala con le modalità del vero, lungi dal diminuire le connessioni come sono soliti adoperarsi i moduli unitari e dal prendere quale modello la produzione verosimile, con costrutto segna a dito il vero in modo che non sia condizionato dalle forme del possibile. “

Perdigiorno

Emera dorme. Il sonniloquio è indecifrabile sennonché i sintagmi sfuggiti alla clausola e ricercati nei più disparati contesti dalla sintassi dispongono del talento i cui moniti ineriscono alla decrittazione. Fino alla propagazione delle cifre orali Emera considerava il sonno al pari di una perdita, una perdita non amalgamata alla temporalità quanto combinata alla negghienza. Desta di notte, anche se il verbo risveglia l’imperizia sensazionale, di giorno manifestava non tanto la sfinitezza quanto l’atrabile prevalente sui congiunti, se ad esempio l’impertinenza eterea l’adulava lei non esitava nel rimandarla a quel paese, il paese demistificato in cui è necessaria e non per convenzione la leggenda per essere ritenuti idonei alle agevolazioni dei segni. Fino ad ora, fino al sonniloquio sintagmatico allorché Emera desiste così lo sfinimento come l’imperizia, sonniloquio che una volta svaniti i sintagmi sfuggenti, cede il passo alle parole aggiornate, interpretate dalle perifrasi per poi alterarsi definitivamente nelle congrue clausole delle parole quotidiane, omologhe all’istruito sentire elogiato al giorno d’oggi.

La facoltà mimetica

Con il consenso dell’insegna l’esercente incarta l’oggetto in cambio del valore nominale, prima di srotolarsi contro l’empatia ha strappato un rettangolo cartaceo deforme su cui descrivere un’esortazione. Giovandosi del vetro che non si piega ai riflessi, che non muove obiezioni alla ritrosia l’esortazione osteggia l’attraversamento, in altre parole la descrizione soffocante la citazione aspira alla proposizione priva d’introduzione, la dichiarazione interdetta: vietato l’ingresso ai mimi e agli animati. Deambulante per le intersezioni estrinseche il fuorviante altrimenti riconosciuto quale il pellegrino si ferma nell’immediata adiacenza dell’insegna; non necessita di un oggetto, il valore nominale lo conserva per un’occasione in cui prospera l’errare, disprezzando l’opacità ossia l’applicazione espressiva della cartina di tornasole non può fare a meno di leggere l’intimità dell’interdizione. Deviato dalla mediata adiacenza il pellegrino osserva l’immutabile, quel che in seguito egli indicherà ai curiosi come un attore, fronteggiare l’interdizione, con l’assimilazione del proprio corpo immutabile adombra la possibilità addentro la proposizione priva d’introduzione. L’immutabile rende illeggibile la dichiarazione interdetta se non alla ritrosia interiore e con il proprio corpo occupa di peso l’ingresso. Scultoreo è irremovibile, i soggetti necessitanti di un rapporto con l’oggetto se ne fanno una ragione, tornano sui propri passi, a onore del vero non senza animarsi contro l’inqualificabile atto, misfatto nominale. Dalla sua esposizione il pellegrino non è intristito dal differimento dell’occasione in cui prospera l’errare anzi si appassiona all’eventuale mutazione, fermo nei propositi osserva la costruzione, l’edificazione di una riflessione senza l’ovvietà di passaggio, una riflessione invarcabile.

La disputazione ennesima

Lo studio è apprestato, gli addetti all’ecologia hanno distolto il maggior numero di pannelli fonoassorbenti surrogati degli isolanti acustici; i preposti alle inclinazioni hanno schematizzato la scena sul motivo delineato delle immagini-poltrone; gli illusionisti qualificati in illuminazione celiano l’occultamento dai contorni mai estremi da cui possono rivelare i dislivelli in penombra, perlustrandoli di riflesso; gli schermi taciti immaginano l’approfondimento senza prevederne la funzione; gli strumenti che riprendono non senza ingigantire né sminuire i segnali sono esenti dal pregiudizio del raggiro, con più cenni l’obiettivo è delimitato. Previo esercizio della cosmesi provocatoria e senza trascorsi, la cosmesi che ravvia i fili del discorso, un discorso acconciato è un discorso in buono stato e non uno stato del discorso, gli oratori s’impongono sulle immagini-poltrone a motivo di uno schema in linea con gli interventi. Con precipitazione l’assistente di studio comunica l’assenza della conduzione sostituita senza veemenza, non alla svelta, dalla moderazione; gli oratori ne prendono coscienza, prenderne atto non rientra tra i loro attributi, trascende l’appagamento del contratto, e non muovono obiezioni.

Le chiacchiere lungi dalla visione si diffondono non a bello studio, emulano la sedentarietà del linguaggio il che non fa il paio con la comodità del linguaggio in quanto la tesi della postura finalizzata alla compensazione del linguaggio privato e del linguaggio pubblico è tuttora in opposizione alla gravità, le chiacchiere non finalizzate alla visione patiscono le articolazioni.

La correlazione

Il solaio non è significativo dato che espone dalla fessura dell’ingresso incongruente l’artificio dell’illuminazione. Al lume dell’immagine un corpo che non requisisce l’uomo non risparmia le energie, la moderazione della risma orba di successo lo scompagina, in un allungo non trascorso legge l’aforisma traboccato, il desiderio permuta il pensiero con un presente, in un’apostasia del senso il corpo non in possesso dei requisiti rilegge l’impossibilità della revisione, l’inespressività dell’incitazione e con un’eccitata gratifica accartoccia la pagina nel tropo di una pallottola inesplosa. Senza riferimenti lancia la figura impaginata difforme tanto dalla sfera quanto dall’ogiva oltre la finestra aperta sui ronfi notturni delle parabole. Dapprima pago della pagina non mai novella sottratta alla risma, foriera di un accaduto, il corpo privato dei requisiti dell’uomo è in un frangente sedotto dall’aforisma tropico insignificante, il desiderio condona un pensiero con la corresponsione dell’assenza, per cui seduta stante vanifica l’altezza che destituisce l’instradamento atterrato.

Appianata la separazione, interrata la seduzione, il corpo che non requisisce l’uomo non ignora che il tropo impaginato è dispiegato nell’attenzione letterale di un corpo che si prostituisce a tratti alla connotazione, impassibile e insensibile alla relazione reciproca dei leccapiedi tutt’altro che perversi questi intuisce che il corpo prospiciente e ansimante, non in possesso dei requisiti si presta alla brevità, con il compendio del passo e con la sorpresa dell’uomo anela la restituzione del desiderio. Il corpo che si prostituisce a tratti alla connotazione muta il presente in un desiderio che contrae il pensiero.

Il coturno

Il trapestio è incalzante e non recita lo spasso. Chiunque è vinto dalla sfida del diletto nel passo indistinguibile, il pervicace in primo luogo. In vece dell’identità, inane in una circostanza coibente, il pervicace riconducibile all’isolante maledice il disorientamento impercettibile. In ipostasi la convinzione ospite per una notte non è di aiuto, intensifica l’istanza mai di prima bussola, il pervicace ambisce alla linea di condotta frammentata e spezzata in un punto udibile eppure non ne conviene, la disposizione è sovrastimata, il recapito del passo cacofonico come un’insistenza evince una falsariga per cui si sente sostenuto in un encomio della scusa, in un plauso che emenda la venia, a spifferare o a strombettare le maledizioni e a nulla vale l’enfasi della convinzione concentrata, accerchiata e ingigantita dalle correlazioni, la condizione anzidetta mal sovrasta il passo. Per eludere l’assimilazione del contesto alla notte il riverbero dei passi non ancora vicini, riverbero che non dice il monosillabo, è strumentale ad una suola slacciata dal piede impicciolito.

Eptacaidecafobia

Ho paura che oggi non posso riprodurre né la cifra naturalmente mensile né spolverare il cassetto del settimanile ove è dispiegata l’intimità di Venere, più di tutto ho paura che oggidì il soggetto dell’azione sia dispensato dall’esito. Di prassi ricorrente la sola responsabile dell’azione è la sfortuna, alla questione che ritorna nell’agire è abilitata a rispondere la sola sfortuna, ora l’interrogativo dell’esito ovverosia l’abuso del soggetto dispensato dalle conseguenze, quel che in formule penali – la forma in pena per l’èidos – si ripropone nell’amnistia del soggetto, non è altro che un dilemma dissennato giacché il soggetto dell’azione non dimentica la supposizione adombrando la sfortuna, rigetta la risposta avocando la sfortuna.

Un’illustrazione: una pluralità di soggetti è parcellizzata in diverse sale adattate al questionario, colta in flagranza di riduzione di proprietà e pungolata nello spuntare una delle multiple risposte si risolve per la possibilità altro. La pluralità dei soggetti allontana il questionario e propone senza perifrasi di non dare né offrire lo spunto ad alcunché se non in presenza della sfortuna, richiamata in fretta e in furia da un altro ufficio.

Alessio Sarnataro 

Banausia

Gli operai vietano il transito manifatturiero, sebbene non prestabilito nessuna parcella entra o esce dall’insieme, dal complesso stabile. Alquanto scettici e ben addentro all’irremovibilità i professionisti della tutela certificano il divieto come fatto ad arte. Gli operai non sono angosciati dall’utilità dell’intesa, infatti non sortiscono i pregiudicati dal transatto né partecipano alla pervicacia dell’interesse, sembrano in attesa della prosperità. Assimilazione pertinente in quanto la prosperità si manifesta con l’appressarsi dei colleghi, i quali recano con sé o meglio sono mascherati con minuziose strisce di tessuto bianco delineato eppure non colorito. L’ordine collegato non trasmoda la lettera, dal ciglio mancino fino all’ultimo non emarginato né maldestro fiancheggiatore inequivocabilmente si comprende l’interiezione di un diuturno intervallo. Rigetto che sulle prime dà adito all’eccesso eppure a una riprensione secondata mostra come la smania degli operai nello stigmatizzare la vaghezza dell’opera sia nient’affatto infondata. Sono logorati, snervati e sfiniti dalla critica di turno.

Pantomima

L’opuscolo è leggibile ma non intelligibile, i morfemi si rincorrono in una proscrizione del thesaurus, i lemmi urtano contro gli spigoli dei significanti e il piano dell’espressione appare così maculato da termini rappresi, la spiegazione fonetica dilata l’evocazione tuttavia non c’è traccia dei presupposti, i riferimenti potrebbero essere in alcun tòpos; sospeso il momento secondato, inqualificabile, i morfemi si conformano né più né meno in parola ai lemmi, presagiscono la cicatrizzazione, in continuità significativa il piano del contenuto appare dilavato se non determinato eppure il ricorso all’abrasione cervellotica, all’abrasione della flemma è vano, in breve l’opera è sì riducibile all’affermazione della lettura ma è integralmente inintelligibile, l’intelletto sottoscrive i lemmi e persino i morfemi della rinuncia, acconsente ai termini dacché non è in grado di sintetizzare i qualificati estremi del senso.

La riduzione dell’opera càpita tra le mani del pantomimo che per formazione non pone l’accento sul senso, affascinato com’è dalla grafia; l’opuscolo è leggibile, addirittura mimetizzato.