Una coppia di folletti, tutt’altro che rappresentanti obiettivi, nemmanco per sogno agenti dell’oggetto, riprendono fiato sul ballatoio mai scalato. Ai ridotti alla follia per una testa satura di proposizioni cervellotiche non si addice l’ascensione. Essi sono definiti dalla fantasia in un campo semantico che appare come una frontiera in cui è possibile contraccambiare la vita con la sorpresa mai inerte, eppure in tale frontiera semantica non sono in balia delle pulsioni. La coppia di folletti pigia la burla della suoneria, una campana ridotta allo stallo del rintocco, dopo un’attesa interminabile, un’attesa priva di termini e di referenze identitarie il limine ruota sul dirimpetto. La coppia domanda del padrone addomesticato. L’allegoria che con il senso della misura ostacola la visione d’interno afferma l’assenza del coboldo e invita gli afflati del ballatoio a ritornare in un momento opportuno, quantunque le loro aspirazioni siano inalterabili essa non è appagata dal soddisfare, non è abbastanza paga dell’esaudire tantomeno propensa al contentino. La coppia di folletti insufflata dall’appariscenza dell’analogia preferisce la china e comunica ad entrambi come il momento opportuno sia sempre differibile giacché l’analogia è di ispirazione.
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